Erri De Luca – The day before happiness

Erri De Luca – The day before happiness

erri de luca il giorno prima della felicità the day before happiness stefania infante

“Hai capito che guerra era, guagliò? Morivano più i disarmati che i soldati. Per strada cominciavo a sentire i pensieri: ma perché stanno dentro la città e non vanno a combattere? Perché fanno prepotenze contro la povera gente invece di andare al fronte? 
Cominciavano i pensieri di una testa sola. Le persone quando diventano popolo fanno impressione. Così arriva una mattina, una domenica di fine settembre, finalmente piove e sento in bocca a tutti la stessa parola, sputata dallo stesso pensiero: mo’ basta. Era un vento, non veniva dal mare ma da dentro la città: mo’ basta, mo’ basta. Se mi chiudevo le orecchie lo sentivo più forte.”

“- E come la riconosco? Sono successi dieci anni, un sacco di tempo.
 – Guagliò, il tempo non è un sacco, magari è un bosco. Se hai conosciuto la foglia, poi riconosci l’albero. Se l’hai vista negli occhi, la ritroverai. Pure se è passato un bosco di tempo.”

“In storia mi annoiavano le tre guerrette di indipendenza, mi incuriosiva invece la resistenza del Sud, sistemata col nome di brigantaggio. I vincitori hanno bisogno di denigrare i vinti. Il Sud era rimasto affezionato ai suoi sconfitti. Fu un’epopea militare molto più sanguinosa delle scaramucce del Risorgimento con la buffa doppia battaglia di Custoza, perduta due volte a distanza di anni. Cavour mi era antipatico, Mazzini era il fondatore di una banda armata. Garibaldi era arrivato in un momento fortunato, Pisacane in quello sbagliato. La storia era una cucina di ingredienti, si cambiavano dosi e ne usciva tutt’un’altra pietanza.”

“I viaggi sono quelli per mare con le navi, non coi treni. L’orizzonte deve essere vuoto e deve staccare il cielo dall’acqua. Ci deve essere niente intorno e sopra deve pesare l’immenso, allora è viaggio.”

“Giù in portineria arrivava una carambola di luce che faceva dieci sponde prima di finire nella buca dove stavo. Don Gaetano dice che è buon segno. Il sole vuole bene a quelli che abitano in basso, dove non arriva. Più di tutti ama i cecati, a quelli passa una carezza speciale sulle orbite. Al sole non piacciono gli adoratori che si mettono a nudo sotto la sua abbondanza e lo usano per colorante della loro pelle. Lui vuole scaldare quelli senza cappotto, che battono i denti nei vicoli stretti. Li chiama fuori, li fa uscire dalle stanzine fredde e li friziona finché non sorridono per il solletico. “È buon segno, ti vuole bene e ti manda il suo saluto dentro lo stanzino. È segno che il sole ti protegge.”

“È una cosa che somiglia a una musica. Ognuno suona uno strumento e quello che ne viene fuori non è la somma dei suonatori ma è la musica, una corrente che si muove a onde, scortica il mare, è  una fame che ti fa vedere il pane buttato a terra, e tu lo lasci a un altro, una madre che passa un sasso al figlio, la commozione che fa salire agli occhi il sangue e non le lacrime. Non te la so spiegare, la rivolta. Se ti troverai dentro una, la farai e non somiglierà a questa che racconto. Eppure sarà uguale, perché sono sorelle tutte le rivolte di popolo contro le forze armate.”

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